Se sei genitore di un alieno in crisi ormonale di età compresa tra i 13 e i 18 anni, beh, questo è il giusto approdo per non farti fregare da tuo figlio. O, forse, da te stesso.
Saranno, spero, i tre minuti spesi meglio della tua giornata, quindi mettiti comodo.
Da anni ormai tengo corsi di comunicazione agli adolescenti e scopro sempre roba molto interessante. L'esito del mio ultimo sondaggio merita giusto un paio di riflessioni: almeno il 30% degli adolescenti che ho intervistato (circa 500 e per alzata di mano, che sarà un metodo empirico ma funziona sempre) ha un profilo aziendale su Instagram.
Ripeto e scandisco: A Z I E N D A L E.
E più si abbassa la fascia d'età più si alza la percentuale.
Sì, lo so, non lo sapevi.
Non lo sapevo nemmeno io, per questo l'ho chiesto agli adolescenti e loro, di solito, quando chiedi rispondono.
Funziona così: se vieti disobbediscono, se urli aggrediscono, se pretendi dormono, se interroghi sbattono la porta.
Ma se chiedi, beh, se chiedi rispondono.
Niente panico, vediamo che cosa succede nel mondo della generazione Z: sognano il successo, adorano gli influencer, vogliono aprire un canale Youtube e analizzano le statistiche di Instagram esattamente come fanno le imprese.
Anzi, lo fanno meglio: perché sono i social media marketer di se stessi, hanno un sacco di tempo libero e prendono la cosa molto sul serio. Il tutto accade sotto il nostro sguardo spento e inesperto.
A noi, che della generazione Z troppo spesso siamo solo spettatori polemici (tipo gli umarell con i lavori in corso) non restano che tre strade: fingere che la faccenda non esista, sparare divieti e punizioni a raffica oppure tentare di capirci qualcosa.
Per chi scegliesse la terza via, ecco alcune cose da sapere:
Su Instagram passare da un account privato a uno aziendale è un gioco da ragazzi e sono proprio i ragazzini a spiegare come si fa.
I contenuti di un profilo aziendale sono sempre e solo pubblici.
Instagram chiede ai possessori di profilo aziendale numero di telefono, mail e indirizzo. E lo fa per mostrarli al mondo.
Se un ragazzo decide di aprire un profilo aziendale significa che vuole comunicare come se fosse un'azienda. E un'azienda, sul web, vuole farsi trovare. Vorrei che cominciassimo a non dare connotazione catastrofica a questa cosa: non è un bene o un male, è un dato di fatto. Instagram dovrebbe chiedere la partita IVA per aprire un profilo aziendale, direte voi, ma intanto, dal momento che ora non lo fa, i ragazzi inseguono la chimera della notorietà.
La consolazione, quando si ha a che fare con gli adolescenti, è che basta spiegargliele, certe questioni, e loro le capiscono.
Piuttosto che vietare ai ragazzi di farsi un profilo aziendale (lo creerebbero comunque) dovremmo forse spiegare che cosa significhi esistere nel web, dovremmo accettare che la loro autostima passi (anche) attraverso il numero di follower e di like, e dovremmo capire che l'analisi dei dati dei social network potrebbe diventare, se ben indirizzata, una professione.
Tuo figlio adolescente sa tutto dei suoi follower: sesso, età, fasce orarie in cui visitano il suo profilo e numero di persone che scaricano i suoi selfie improbabili.
Quello che non sa è che il pericolo non sta dentro uno schermo, ma dietro: e che quando compare non lo fa online, ma fuori da scuola, alla fermata dell'autobus o sotto casa.
Non bisogna volerli "dalla nostra", i ragazzi: dobbiamo essere pronti a passare "dalla loro", per spiegare che un profilo aziendale ti espone al mondo e che, se ti consente di targettizzare il tuo pubblico, in cambio si prende davvero troppo.
Diremo che Instagram chiede dati sensibili, è vero, ma che nessuno è obbligato a darglieli.
Glielo diremo con calma perché loro, di colpe, mica ne hanno: fanno solo quello che il mondo distratto degli adulti gli consente di fare.
Alla fine saranno loro, da soli, a cambiare strada: molti torneranno al vecchio e rassicurante profilo privato e, quanto agli altri, sceglieranno l'anonimato di un creativo nickname e toglieranno dal profilo il numero di telefono e l'indirizzo di casa. Elimineranno le foto inopportune e impareranno a prendersi tutto il tempo necessario, prima di postare.
Noi ci riscopriremo capaci di riappropriarci del nostro ruolo perduto.
E, quanto a loro, beh, sapranno che, per proteggerli, abbiamo attraversato l'Acheronte dei social network e siamo pronti al giudizio di Minosse.
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