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Immagine del redattoreLa Cate

Case 01: Nolita vs YSL | narrazione vs antinarrazione


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Siamo al primo case study di Insegnare Branding.

Yves Saint Laurent vende sempre e comunque.

Alcune mie alunne per una sua clutch da 1.000€ potrebbero uccidere. Senza rimorsi.

Allora perché fregarsene del potere mediatico di cui si dispone e offrire l'ennesima campagna senza storie che trasforma la donna in uno stecchino a gambe aperte?

Niente da fare, YSL non ha ritrattato.

Eppure, se penso a Saint Laurent nel 1971, completamente nudo, che lancia il nuovo profumo maschile, beh, mi impongo di guardarle meglio, quelle fotografie sessiste.

I volti celati, a cancellare identità; le gambe anoressiche su improbabili pattini dai tacchi vertiginosi, la sessualità ostentata fino a disturbare. Gli ingredienti per lanciare un messaggio ci sono tutti.

Viene spontaneo pensare a un'altra campagna provocatoria, quella di Nolita firmata Oliviero Toscani. Anche quella suscitò polemiche e si sollevarono voci di dissenso.


Nudità, magrezza malata, provocazione: elementi comuni alle due campagne.

Ma c'è qualcosa che rende la campagna Nolita così profondamente diversa da quella di YSL, così interrogante e tragicamente identificativa: racconta una storia.

E una storia vale sempre la pena di essere raccontata.

La storia che Toscani racconta è quella di Isabelle Caro, che si spoglia davanti all'obiettivo per raccontare al mondo che cosa significhi sopportare il peso dell'anoressia. E il suo racconto, così lucidamente drammatico, sta tutto nel silenzio assordante di quello scatto senza filtri.

E' morta, Isabelle, a 28 anni e un tot di sogni infranti.

E' morta della malattia che ha voluto raccontare.

Ecco perché ai miei studenti consiglio, se mai dovessero scegliere la strada della provocazione, di seguire Toscani piuttosto che Inez e Vinoodh: perché la narrazione vinca sull'antinarrazione.

Perché provocare senza raccontare significa semplicemente perdere una buona occasione.

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