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  • Immagine del redattoreLa Cate

Case 11: Coca-Cola e il suo racconto universale


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Quando è una multinazionale a raccontare la storia, a volte finisce pure per riscriverla.

Negli anni ‘30 Coca-Cola risponde alla crisi e alla fame posizionandosi come brand dell’ottimismo, della felicità, della condivisione. E così Babbo Natale diventa grasso, bianco e rosso e tracanna bottiglie di Coca-Cola come se non ci fosse un domani mentre lancia regali ai bambini.

Poi arriva la guerra e si porta dietro una promessa tutta americana: ogni soldato, in qualunque parte del pianeta, pagherà la sua Coca-Cola solo un nichelino.

Non esiste campo militare nel mondo che non abbia un frigorifero per la Coca-Cola.

E così l’America diventa terra di sogni che esporta una bevanda tutta democrazia e ideali.

Negli anni ‘50 Coca-Cola è l’emblema dell’american way of life: il benessere, le pin-up e la famiglia superbionda con i denti superbrillanti e la pelle superbianca campeggiano in ogni manifesto.

Ma c’è un dato di fatto che rischia di minare gli affari: nell’America razzista degli anni ‘50 i neri fanno un sacco di figli. E dato che bisogna che tutti la bevano, questa Coca-Cola democratica e nera, il nuovo valore dell’azienda diventa l’inclusione: la famiglia WASP viene rimpiazzata da quella afroamericana e la modella Mary Alexander spopola sulla carta stampata.

E quando il Vietnam liquida a colpi di napalm e cadaveri anche l’ultimo retaggio dell’american way of life, Coca-Cola riformula la sua comunicazione. Viene in Italia a lavare i panni in Arno e lancia una campagna evergreen: decine di giovani multicolor cantano all'unisono il nuovo tormentone del Natale. Lo spot “Hilltop saluta gli Usa e abbraccia il mondo intero.

Coca-cola diventa globale e non ce n’è più per nessuno.

Da allora la strada è segnata.

Tre i valori irrinunciabili: condivisione, inclusione, universalità.

E la consapevolezza di essere, ormai, un soggetto politico con cui i governi dialogano.

Per vendere, infatti, la diplomazia è sempre utile: se l’Arabia Saudita non tollera l’omosessualità di "Pool boy" si rimedia con uno spot sulle donne alla guida (che fa discutere, sì, ma non troppo); se i russi invadono la Crimea basta aggiungerla nelle card di Natale e se India e Pakistan si odiano allora si lancia una campagna tutta commozione per portare a casa il risultato.

Come?

Inventando storie nuove, che insegnano a raccontare per convincere.

E comunque quando parte "I'd like to teach the world to sing in perfect harmony" la canticchiamo tutti.

Nessuno escluso.

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